Immaginate la metro piena zeppa di gente. Tanta gente. Da non potersi muovere.
Immaginate ora che entri un giapponese e che in un italiano stentato costui inizi ad pronunciare ad alta voce le seguenti parole:
“Hello! I am Giuliano Gemma! Hello! I am Marcello Mastroianni! Hello! I am Benito Mussolini!”
Immaginate che i viaggiatori dell’intero vagone si girino verso lo squilibrato e, dopo essersi chiesti la relazione logica tra i nomi dei soggetti tirati in ballo, e aver immaginato che la cultura cinematografica del malcapitato si sia fermata qualche decennio fa, tornino alle proprie occupazioni. Nella fattispecie, cercare di respirare e tenere il conto delle fermate, operazione resa più ostica dalla quasi totale impossibilità di leggerne i nomi dai finestrini.
E’ lì, nella passiva confusione degli astanti, che uno spirito libero si eleva al di sopra della massa, trovando una soluzione. Nel silenzio generale del vagone, allora, risuonano le seguenti parole:
“Aho, je levate er sakè a questo?“
Amo la mia città.
Innanzitutto mi sorprendo della “cultura” del suddetto “spirito libero”, che, in perfetto dialetto romano, dimostra di conoscere il saké, e di sapere che proviene dal Giappone.
Poi mi viene da pensare che il Giapponese si sia comportato così perché imbeccato da qualche buontempone italiano, che magari gli avrà detto: “Vai, dì così, sarai simpatico a tutti!”, ovviamente senza spiegargli cosa significasse quello che stava dicendo.
E mettendo a rischio l’incolumità del povero straniero.
Non avevo mai considerato il punto di vista “bastardo” della questione: pirandelliano, non credi? :)