Ci penso, affacciata al parapetto, che senza un fiume io non ci saprei vivere. Se c’è un fiume puoi affacciarti dall’alto, da un ponte, e guardare i monumenti, e i tramonti, e le luci bianche e rosse delle macchine intasate nel traffico. È sempre Natale, quando alzi gli occhi dal fiume e vedi la città illuminata. E lo è quando li abbassi e vedi quell’acqua nera, placida, che scorre silenziosa e sempre uguale, incrinata solo dai piccoli cerchi dei tuffi improvvisati dei suoi grigi abitanti, grandi orecchie e coda lunga.
Che sarà anche bello vivere vicino a un fiume, ma fare i conti con gli inquilini è altra cosa.
Fumo la mia sigaretta e mi sento un po’ come Marlene Dietrich, ma senza i suoi tacchi, i ricci biondi e l’aria sensuale. Detta così in effetti di Marlene Dietrich non ho proprio niente, a parte un mutismo che, in caso di disinteresse alle umane vicende o protezione dalle vite altrui, si impossessa della mia persona quasi fossi la migliore delle dive del (pre)cinema. È lì che inizio a scorrere nel mondo come l’acqua sotto i ponti: placida come il fiume, nera come la notte, guardandomi attorno stando bene attenta a non buttarmi un occhio anche dentro – che non si sa mai cosa ci si può trovare.
Stasera sono muta, e osservo. Poco lontano da me dei ragazzi ubriachi alzano la voce: forse finiranno per mettersi le mani addosso. Le ragazze proveranno a calmarli con gridolini acuti e un intercalare che tradirà la loro origine di estrema periferia, e dai palazzi limitrofi qualcuno tirerà fuori un cellulare. Finiranno su youtube nello spazio di una serata, e di lì nei titoli catastrofici dei giornali che lo ricordano a gran voce, che questa città non è più sicura come quella di un tempo. Sì, nell’800 volavano i coltelli, è vero, ma li hai visti quei vecchi film sulla Roma papalina? Mica potevi farle così facilmente, le risse di notte: c’era il coprifuoco, c’erano le guardie papali. Sì, negli anni ’70 giravano i terroristi, le bande criminali, e la stazione Termini era ancora una zonuccia che dopo le cinque di pomeriggio te la raccomando, ma non stiamo a sottilizzare. Oggi, signora mia, i ragazzi si drogano, la polizia è corrotta e viviamo in tempi tanto bui. E poi nelle altre città queste cose non succedono.
Stereotipi, luoghi comuni. Anche loro fluiscono neri come magma rappreso nelle vene di chi vive qui. Abitanti incattiviti di una città che se la guardi da lontano ti incanta, tutta cupole e nuvole com’è. Faccio due, quattro, venti, cinquanta, mille passi, non li conto più. Mi sporgo sul parapetto, che quest’acqua nera la guarderei fino al sorgere del sole, quando torna di quel verdino sporco che fa tanto laguna di Venezia. È così, la Senna? Che magari, mais oui, a Parigi ci potrei anche vivere, a metà tra il quartier latin e le banlieues, dove una terra di mezzo abitabile a prezzi decenti dovrà pure esserci. L’importante, per me, è che ci siano le cupole e le nuvole. E – ovviamente – l’acqua nera.
Passa un’ambulanza a sirene spiegate, e passano le macchine. Ne passa una come la tua, nera pure lei. Un omaccione scuro carica dei turisti su un barcone e se li porta in giro nella notte, che tanto nel buio i topi non si vedono. Ti piaceva, una volta, affacciarti al parapetto e guardarli scattare foto a bocca aperta, ponte dopo ponte. Come ti piaceva una volta andare a comprare la cioccolata bianca al mercatino di Natale prima dei portici del rione Borgo. Ti piaceva, me lo ricordo, ritrovarti il cuppolone alle spalle, i camerieri che tiravano la giacca ai turisti per farli entrare nei ristoranti, le suore che passavano sgranando rosari. Ridevi e mangiavi cioccolata. La mangiavi con me. Chissà se ti piace ancora.
Poi, una goccia sulla giacca, gli ombrelli che si aprono. Le nuvole per fortuna nella notte non si vedono. Con un po’ di fortuna, un turista attento coglierà come in un ossimoro visivo il balzo felino della pantegana che va a ripararsi sotto il ponte. Con un po’ di fortuna, Roma si svuoterà un po’ e resterò da sola con quest’acqua nera, a ripensare alla cioccolata e a te, che non so nemmeno più dove sei o cosa fai.
Mi fermo qui, affacciata al parapetto, mentre la folla si allontana scappando dalla pioggia. E io, che l’ombrello me lo porto sempre dietro, resto a guardare il fiume, riparata dalla mia personale cupola di tessuto scuro, mentre la città e il Natale mi scorrono attorno.
Questo racconto prova a partecipare all’EDS Nero di Natale della Donna Camèl.
Tra gli altri amici (molto più bravi di me) ci sono anche:
Per favore non chiamarmi Barbie di Hombre
Zebre e savane di Dario
Madeleine di Melusina
Natale con soffritto di Pendolante
Pedalata nera di Kermitilrospo
Nero livido di Calikanto
Una vita segnata di Lillina
Il quadro capovolto di Milano con gli occhiali
Oibò, ma come scrivi bene. C’è davvero parecchia atmosfera, in questo ritratto d’amore per la tua città.
Grazie. Prima o poi imparerò anche a restare più aderente alle indicazioni :)
invece che biondo, nero!
Uh, nero, verde, grigiastro…c’è un intero arcobaleno, in quel fiume :P
La tua scrittura è affascinante, sei veramente brava.
Sai, io non potrei mai vivere senza il mare ma amo tutte le città che hanno un fiume, è un punto di riferimento per me.
Bello leggerti, molto.
A Roma (per restare in tema) quando ci si commuove per qualcosa si dice “c’ho i lucciconi” (chissà se è un modo di dire locale o nazionale, mah!). Comunque grazie, davvero, per il tuo commento (e per i conseguenti lucciconi). :)
In realtà molte cose che ho scritto nel post sono fittizie (per dirne una, non ho mai toccato una sigaretta in vita mia), e così anche l’amore per i fiumi tutto sommato è relativo. Mi affascinano, hanno un che di romantico, ma non ne sono così dipendente. Ho sofferto, invece, quando dopo aver vissuto sul mare sono tornata alla normalità: mi ero abituata a una serie di piccoli lussi (non ultimo, passare i pomeriggi di sole – invernale – a leggere sugli scogli) che una grande città non può dare, e che al ritorno mi sono davvero mancati. Insomma, capisco il tuo amore per il mare e lo condivido.
Grazie ancora!
Bellissimo racconto, Leu!
Poetico, d’atmosfera eppure pragmatico, dacché è vero, di notte non si vedono ne le nuvole in cielo e ne le pantegane sulla riva del fiume. Infatti è proprio di notte che si sogna, nel suo buio che ci spegne la mente col sonno – ma spesso non serve nemmeno dormire per poter sognare…
Ciao, eh! ;) :)
Ciao Rota! Eh sì, la notte si sogna, al punto che mi è giunta all’orecchio la storia di una turista che, complice il buio, notando una pantegana che avanzava nella notte esclamò una sera con giubilo: “amore, guarda le nutrie!”.
Eh sì, bello sognare :D
(lo so, ho drammaticamente rotto la poesia del tuo commento, ma non si può essere seri di lunedì mattina!)
Ahahahahah, le nutrie! Beh, effettivamente le acque del Tevere (come molte altre acque cittadine italiane) credo proprio siano assai NUTRIEnti per certe creature! :D
Romanissima romana. Il balzo felino della pantegana mi ha conquistata. Un pezzo d’atmosfera, malinconico. Mi fa venire voglia di un abbraccio caldo
Che poi a dirla tutta i romani sanno bene che per incontrare le pantegane a volte non c’è neppure bisogno di arrivare sul Tevere. Ah, i balzi felini che puoi notare solo andando a buttare l’immondizia! :D
(posso prendermelo, l’abbraccio caldo? Dai dai dai)
come si fa a vivere in un posto senza fiumi…
Confesso che non capisco se sei ironico o no. :)
semplicemente dove vivo c’è un fiume :D ..e anche dove vivevo prima di vivere dove vivo or ora !
Uh, bello! Coincidenza o scelta ponderata? :D
Sarà fuori tema , ma è un “placido” leggere… un flusso laminare :-)
Beh, non tutti hanno scritto un noir, in fondo…mi appello al “ma anche no!” della traccia dell’EDS! :D Grazie comunque per aver avuto la pazienza di leggerlo.
Non sarà un racconto noir ma l’atmosfera che hai creato è decisamente e amorevolmente noir.
In bocca al lupo e torna vincitrice.
Nicola
Grazie Nicola, soprattutto per aver capito il mio tentativo! Non mi piace niente di quel che ha a che fare con poliziotti, cadaveri, indagini e inseguimenti, ma trovo affascinante l’atmosfera noir, ed è quella che ho cercato di riprodurre. Grazie mille e a presto (con qualcosa di più allegro: ho pile di appunti sparsi in giro ma mi manca il tempo di sistematizzarli!)!
Mi piace questo nero annacquato, che ha perso la sua intensità contratta per espandersi e diluirsi seguendo l’acqua e il ritmo del fiume. La solitudine della protagonista che si lascia abbracciare da una città matrigna. Mi piace.
Grazie Calikanto, sei gentile come sempre :) Sono contenta che ti sia piaciuto!
a me ricorda un sacco di cose che forse non ho vissuto o forse non posso dire.
bello assai.
A volte è più difficile raccontare le seconde che le prime :) Grazie mille, davvero.
stando bene attenta a non buttarmi un occhio anche dentro – che non si sa mai cosa ci si può trovare…
mi è piaciuto molto molto (e ho anche vissuto in quella grande bellezza per 12 anni)
bacioni angela
(con un po’ di nostalgia)
Grazie! Sono contenta anche che tu abbia un bel ricordo di quel periodo :) baci a te!
Ma sai che queste cose (ovviamente non tutte, adattate alla mia persona ed al mio mood generale) io le provo in genere agli Hotel degli aeroporti ? In genere subito dopo cena, prima di andare a dormire, esco cinque minuti e rimango appena fuori della porta scorrevole. Mentre qualche rara altra anima solitaria che vaga per lavoro entra con la faccia stanca ad un’ora improbabile, io me ne sto lì a guardare le luci. In genere è sempre visibile qualche enorme parcheggio dell’aeroporto, a quell’ora abbastanza immobile, e sullo sfondo l’aeroporto. Via vai di carrellini porta valigie, rumorini di trolley sull’asfalto che si avvicinano, taxi su e giù, gli ultimi aerei…. Mah, così, per condividere. Brava comunque. Ciao!
A me più che con gli Hotel degli aeroporti capita con gli aeroporti in sé. Sarà che complice la “mobilità” generale è sempre più frequente che chi abbiamo vicino parta per altri lidi, ma vedere gli aerei che partono mi dà sempre una gran malinconia e un certo senso di impotenza.
Grazie per la visita e per il commento! :)