Racconti

Sogno di un pomeriggio di mezz’autunno

Maria aspettava seduta su una panchina del parco, stringendo con entrambe le mani i manici della sua borsetta di coccodrillo. Aspettava, con la sua permanente fatta di fresco, i capelli bianchissimi e gli occhiali larghi, tipici di chi non si è mai voluto rassegnare alle mode che impongono lenti piccole e rettangolari anche a chi è entrato negli -anta da un po’.

Non si sarebbe detta esattamente una donna anziana: sebbene non avesse alcuna intenzione di mascherare l’avanzare dell’età, rifuggiva il modello della vecchina sciatta che porta a spasso il carlino in vestaglietta nelle strade di periferia. Lei, anche quando si trattava di fare la spesa al mercato, manteneva sempre un suo stile: pantaloni e mocassini, strategia di abbigliamento studiata ad hoc per percorrere a piedi il maggior numero di chilometri ed agguantare all’occorrenza autobus al volo. Artrite permettendo, ça va sans dire.

Quella mattina, però, i mocassini li aveva lasciati a casa, per infilarsi ai piedi delle strette scarpe col tacco abbinate a un tailleur nero che lasciava intravedere sotto la giacca una camicetta di seta rosso fuoco. Stringeva i manici della borsa come se fossero i sostegni di sicurezza dell’ottovolante, e teneva i piedi uniti e la bocca serrata, lanciando ogni tanto uno sguardo all’orologio. Quando sei in anticipo, pensava, il tempo non passa mai.

Mentre il pensiero di darsela a gambe finché era ancora in tempo si faceva largo nella sua mente, una ragazza le passò accanto facendo jogging. Mise un piede sulla panchina per allacciarsi una scarpa e le sorrise:

– Scusi, sa che ore sono? – chiese la ragazza.

 – Mezzogiorno meno cinque – borbottò Maria.

– Grazie. Scusi sa, ma quando corro non porto mai l’orologio.

Sorrise e riprese la corsa, lasciando la donna sola con il suo tailleur, a tamburellare sull’erba con il piede stretto in quelle scomodissime scarpe. Maria guardò fissa in direzione del vialetto alberato alla ricerca di una sagoma conosciuta, finché finalmente la vide.

Gianni arrivava a passo svelto, con l’aria di chi aveva inghiottito una scopa. Cercava di nascondere gli acciacchi dell’età con un’andatura dritta che gli dava l’aria di un soldatino di piombo che inciampava ogni tanto sul brecciolino. Un completo color cammello, delle scarpe marroni di camoscio e, sulla camicia bianca, un cravattino d’altri tempi: visto così, pareva l’architetto Melandri di Amici miei. Quando le fu davanti, non seppe trattenere un baciamano, porgendole con aria un po’ goffa una rosa rossa che in mano a lui appariva ancora più comica.

– Lo so che i fiori non ti piacciono, ma questa… – disse, mentre le guance di Maria iniziavano a prendere fuoco. Si sedette sull’altro lato della panchina, quasi temendo di disturbarla, lasciando fra loro uno spazio eccessivo.

– Allora, sei pronta? – le chiese. Lei strinse i manici quasi fino a farsi male alle mani.

– Non lo so.

Restarono qualche minuto in silenzio, come se volessero osservare l’autunno che avanzava, ciascuno dalla propria personale postazione.

– Sono stato dal cardiologo – disse Gianni all’improvviso – mi ha cambiato le pasticche per la pressione.

Lo esclamò come se avesse annunciato la notizia dell’anno. Forse per lui era davvero così, visto che ora guardava la sua amata con il sorriso compiaciuto di chi sente di aver fatto centro.

Mentre attendeva la reazione di Maria, la donna si voltò verso di lui e – ah – disse seccamente, e tornò ad esaminare il piccione che da cinque minuti le vagava tra i piedi con insistenza, come se tra le sue scarpe giacessero tonnellate di un’invisibile mollica di pane. Gianni, deluso, sbuffò. Maria sospirò e lasciò finalmente i manici della borsa:

– Gianni…Francesca non lo accetterebbe, lo sai – disse.

Gianni la guardò di sottecchi, con lo stesso sguardo indulgente che si rivolge alle paure esasperate dei bambini. Sospirò, e poi:

– Maria, hai ottant’anni, credo che tua figlia se ne farà una ragione – le disse.

A lui sembrava facile, ma Maria le bravate non le aveva fatte mai, nemmeno quando di anni ne aveva venti. E stravolgersi la vita con quella fuga alla Bonnie&Clyde non era stato certamente il suo primo pensiero, neanche quando Gianni le aveva annunciato tronfio che per il loro viaggio aveva fatto rimettere a posto la sua Cinquecento del ’72, vanto e orgoglio di una vita.

Maria, vedova da vent’anni e rigorosamente senza patente, di macchine ne capiva poco o niente. Conosceva solo le gite domenicali di famiglia, il portapacchi carico con cui si partiva per le vacanze, la figlia che appena diplomata chiedeva in prestito la 127 per andare al cinema con le amiche, con l’obbligo – rigoroso – di tornare a casa una volta finito il film. Conosceva la vita di una famiglia normale, della moglie casalinga di un dirigente ministeriale, che una volta rimasta sola aveva deciso di dedicare la sua vita ai nipotini, ai corsi di cucito e alle gite con il centro anziani. Fino a che, un giorno, non si era innamorata di nuovo, come una ragazzina, a settantacinque anni suonati. E aveva scoperto, con suo enorme stupore, che anche nella Terza Età si può vivere una seconda gioventù.

La proposta di quella fuga amorosa era arrivata due anni prima, insieme a un tè delle cinque e a un cucchiaino rimasto a mezz’aria.

– Ce ne andiamo e ricominciamo da capo! – aveva proposto Gianni, aprendole sotto il naso una scatoletta contenente l’anello più pacchiano della storia della gioielleria mondiale. Lei, interdetta dall’entusiasmo dell’amante e dalla bruttezza del monile, non aveva saputo che dire. Fatto sta che quella senescente proposta di matrimonio le era piombata sulla testa come il più carnale dei peccati: risposarsi, trasferirsi al Nord, nella città dove lui era nato, e ricominciare a vivere come due adolescenti innamorati. Il tutto,  in barba ai figli che quella relazione inopportuna non riuscivano proprio a concepirla.

Ed era stato così che Gianni, che di vedovanza era esperto quanto lei, non riusciva a capire cosa impaurisse tanto la sua futura sposa, ed aspettava pazientemente che lei si decidesse a fare quel passo. Fuitìna, l’avrebbero chiamata al Sud.

Era mercoledì, era autunno ed erano in un parco. Una rosa in mano, una borsetta sulle gambe e i piedi che le facevano un male del diavolo, Maria sembrava più piccola del solito. Gianni, con quella giacca da damerino e la postura goffa, sembrava uno dei pupazzi del Muppet show.

Quella panchina le loro forme le conosceva bene: quando il tempo clemente e il clima mite impedivano un rovinoso epilogo delle loro non troppo giovani vite, i due si davano appuntamento e tornavano a parlare del loro progetto di vita, come due trentenni. Chissà che quella non fosse la volta buona, pensava Gianni.

Una folata di vento passò sul tailleur di Maria, scuotendola con un brivido. Lui se ne accorse e si tolse la giacca per darla a lei: – ma hai i reumatismi… – disse Maria – Beh, anche tu -. Maria prese la mano di quell’omone barbuto rimasto in maniche di camicia e papillon e lo guardò negli occhi, attraverso i due fondi di bottiglia che da vent’anni erano suoi inseparabili compagni di vita. Lui riconobbe quello sguardo: quando lei gli propose – per l’ennesima volta – di rimandare la loro fuga d’amore a una più calda primavera, Gianni fece una smorfia e rispose solo:

– Ma sì.

Sospirò, tirò fuori dalla tasca un sacchetto e cominciò a lanciare briciole al piccione che non si era mosso di un millimetro dalle loro scarpe:

– Ci vediamo domani? – chiese a Maria.

– Domani vado dal medico. Mi deve fare la ricetta per i diuretici – rispose lei, e rilanciò – dopodomani?

– Viene a trovarmi mio figlio. Però sta solo un’ora, magari mi libero presto…

– Dai, ci prendiamo il tè al centro anziani.

Gianni si spazzolò la camicia e porse il braccio a Maria. Sorrise. Si allontanarono insieme verso l’uscita, attenti a non scivolare sul vialetto umido, rosso di foglie appena cadute.

Questo racconto partecipa all’EDS Rosso come il peccato della Donna Camèl. Insieme ai vecchietti nel parco, qui sotto potrete incontrare i protagonisti dei racconti di tanta altra bella gente. L’elenco:

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29 pensieri su “Sogno di un pomeriggio di mezz’autunno”

  1. L’amore in vecchiaia è dolce da leggere. Il peccato direi che qui è non cogliere l’occasione al volo. A 80 anni il carpe diem è d’obbligo. Sti bigotti egoisti dei figli poi… un racconto delicato.

  2. Piaciuto molto, tenero delicato e vero
    Li ho visti davvero, esistono da qualche parte…
    Ora lo ribloggo perché il tema incontri in terza età mi piace tanto
    Lui lei il piccione e la fuitina
    Chi ti ha ispirato?

    1. Grazie mille! :)
      Non mi ha ispirato una persona precisa. Mi è capitato di sentirmi raccontare storie di innamoramenti nei centri anziani o di corteggiamenti in tarda età…e ho visto coppie di vecchietti sui mezzi pubblici che sembrano più giovani dei miei coetanei.
      Spero di aver creato una storia verosimile: io ci credo :)

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