Una vita sui binari

Roma, Metro B1: Profumi (senza balocchi)

La metro B1 di Roma è quell’animale mitologico a forma di treno che passa ogni 15-20 minuti di fronte ai pendolari in attesa, manco fosse un regionale.

Ha tempi suoi, tali che quando leggi sulla palina “attesa prevista 3 minuti” sai che dovrai aggiungerne almeno 8 per avere un tempo stimato realistico. Sono i “tempi atac”: ovvero, un minuto atac corrisponde a circa 4 nella vita reale. È matematica: basta saperlo e vai tranquillo.

27 febbraio, il giorno dopo la Grande Nevicata di Roma.

Quella che ha lasciato a casa i tre quarti dei romani e ha fatto scivolare sul ghiaccio l’altro quarto che al lavoro invece ci è andato.

Quella per cui alle sette di mattina già si annunciava la morte di qualsiasi mezzo di superficie: bus, taxi, botticelle, cani da valanga col fiasco di whisky al collo: tutto. Ma che alle dieci di mattina faceva emozionare tutto il mondo che al grido di “awwww Rome is soooou beautiful”, condivideva foto e video di gente che faceva a pallate di neve di fronte alla Barcaccia. “Roma con la neve è così romantica“, dicono. Sì, peccato che il romanticismo non cammini su rotaie e non abbia le gomme termiche.

Insomma, 27 febbraio, il giorno in cui Roma fa finta di tornare alla normalità.

Dopo 15 minuti di attesa il treno si palesa sulla banchina, e dopo due fermate all’interno già non si respira più. Tutto nella norma, in effetti.

All’improvviso la massa pendolare informe inizia ad agitarsi come un budino. Sento dei borbottii femminili e capisco che nel vagone deve essere salita una signora in vena di polemica. In effetti dopo nemmeno dieci sencondi la tipa indica un signore sulla cinquantina, brizzolato, accento nordico e Sole24ORE sotto il braccio e inizia ad apostrofarlo in malo modo: “io ho problemi di salute, non posso sentire tutti ‘sti profumi, ve ne mettete troppi addosso“.

Della signora vedo solo un po’ di capelli e un braccio che si agita: il resto è sepolto dal resto delle persone attorno. Anche la voce è coperta: nella fattispecie, da cappotti, passamontagna di pile ed equipaggiamenti invernali estremi. Quelli, per capirci, che fino al giorno prima erano chiusi nelle soffitte fra bauli e formalina, e che coi vestiti eleganti da ufficio creano dei contrasti stilistici (e cromatici) niente male.

Il signore tirato in ballo si scuote dal torpore mattutino, e, preso atto che la signora fa sul serio, le fa notare che alle 8:30 di mattina in metro c’è l’ora di punta: “la gente deve andare al lavoro, mica è colpa mia” conclude, lasciando intendere che profumarsi, in quelle condizioni, sarebbe cosa buona, giusta e, già che ci siamo, pure auspicabile. E consiglia alla signora, se proprio l’acqua di colonia la turba, di far presente alla Sindaca che tra le conseguenze di viaggiare in un carro bestiame c’è anche quella di dover sopportare l’altrui olezzo.

La signora tace, più o meno, ma sempre lamentandosi a fasi alterne. Dopo aver palesato per un paio di volte in maniera piuttosto teatrale quanto fosse vicino un probabile svenimento da parte sua, finalmente approfitta dell’apertura delle porte dal suo lato per sgusciare in quella accanto: la mia.

Dice che va meglio, che la gente qui non profuma così tanto.

Ringraziamo tutti per l’apprezzamento.

Dall’altra parte, il signore brizzolato finalmente decide di sfogarsi: “per un po’ di neve” dice “mica è venuto un terremoto!” E, dando all’incompetenza dell’amministrazione romana in fatto di neve la colpa della frustrazione dei passeggeri, sfodera tutto il suo nordico orgoglio: “A Milano mica è così, la metro lì a quest’ora passa ogni due minuti”.

Io sento l’istinto di abbracciarlo. Di dirgli: guardi, scusi se glielo dico, ma mica è colpa della neve se la metro è messa così male, la città si paralizza lo stesso pure ad agosto. Ma resisto. Gli vorrei anche dire che è la prima volta che sento qualcuno lamentarsi dei profumi sulla metro, e non ne farei una tragedia, visto che che quasi quotidianamente affronto prove di resistenza psicofisica contrastando la gente che si fa le zuppe d’aglio crudo a cena e la mattina mi sospira in testa tutto il suo disappunto digestivo. Ma ancora, mi fermo.

Mi fermo soprattutto perché la signora riprende lo show e stavolta ce l’ha con me. Vuole attaccare bottone o – meglio – quello che in gergo tecnico viene definito er pippone. Nulla può fermarla. “No, è che sto male” mi spiega. “C’ho proprio un problema di salute che me viene er mar de testa se sento i profumi”.

Io mi limito a fare un cenno con la testa sperando che finisca presto, ma ovviamente lei non demorde. “Ma che, a Termini apre de qua? No, perché io mica scendo”. Nemmeno fosse Giovanna D’Arco, la signora ha deciso che, contro ogni marea umana all’attacco della banchina, lei andrà controcorrente alla spasmodica ricerca di un posto a sedere: “oh, io gnaa faccio più” conclude.

Le porte si aprono, la marea fa il suo dovere e incurante di tutto trascina giù anche la Paladina dei Profumi Modesti.

Anche oggi siamo arrivati indenni a Termini.

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7 pensieri su “Roma, Metro B1: Profumi (senza balocchi)”

      1. Allora sono onorato di avertelo fatto scoprire: è un capolavoro (e ti assicuro che uso questo termine con molta parsimonia).
        Se ti va, poi fammi sapere come l’hai trovato. Se invece non dovessi più sentirti, per me avertelo fatto scoprire è già una grande soddisfazione. Grazie a te per la risposta, e buon fine settimana! :)

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