varie ed eventuali

Strappare lungo i bordi

Se è da ieri sera che sento parlare di questa serie non è un caso: perché Zerocalcare è l’unico che ha saputo raccontare bene tutte le sfumature di disagio della mia generazione disastrata.

Si dice spesso che siamo la generazione di quelli che si sono sentiti dire prima che per arrivare da qualche parte dovevano studiare, e poi che in realtà il posto per loro non c’era: se semo sbajati, scusate, riprovate nella prossima vita, eh.

Quello che si dice meno è che questo ci ha reso colti, svegli, impegnati, pure cacacazzi, oserei dire. E che è esattamente per tutti quegli anni di studio, di educazione siberiana e di nitide consapevolezze di una vita senza alte prospettive che abbiamo iniziato a pagare l’università ai figli degli psicoterapeuti e dei gastroenterologi di mezza Italia.

Siamo anche la generazione che ha imparato prestissimo la differenza fra avere santi in paradiso e non averne. E non solo quando ci hanno proposto stage non pagati – o pagati in buoni pasto, signori, pure quello – o partite IVA finte per lavorare nei posti dalle 9 alle 18 facendo risparmiare le tasse ai datori di lavoro. Succede ancora oggi, quando incontriamo i genitori dei venticinquenni bocconiani sulla via del trionfo professionale, che compassionevolmente ci spiegano come funziona il mondo e quanto anche loro abbiano fatto la gavetta prima di arrivare ai loro posti da dirigenti con le chiappe incollate alla sedia da quarant’anni.

Siamo la generazione di quelli che dirigenti non ci diventeranno mai, ma che nel frattempo più di chiunque altro hanno imparato i concetti base della sacra arte italica dell’arrangiarsi (ché se non facevi tre lavori uno stipendio decente insieme mica lo mettevi). Siamo pure quelli che non potendo puntare sulla meritocrazia hanno provato con la fama. E allora siamo diventati blogger, comici, youtuber, twittatori seriali. Abbiamo parlato di cibo, auto, calcio, treni, libri, nella speranza che la botta di culo arrivasse. E, puntualmente, ve do ‘sta notizia, la botta di culo non arrivava mai. Arrivava solo la gastrite.

Siamo quelli che hanno vissuto tutte le riforme del mondo – la scuola, l’università, il lavoro – prendendo schiaffi da tutte, nessuna esclusa. E che oggi, quando vanno in banca a chiedere un mutuo per una casa – che quando ti dice bene ha una parete che crolla fronte strada e quando ti dice male ha un morto cementificato nel muro portante – siamo quelli che si sentono rispondere che, per averlo, al costo base devono aggiungere pure i costi di tre o quattro assicurazioni, “perché sì, avete un contratto a tempo indeterminato ma lavorate nel privato, mica nel pubblico“.

Siamo la generazione di quelli che fanno cose belle nel weekend per non ricordarsi del variegato letame che spalano durante il resto della settimana. E che, tra un ghigno e un attacco di panico, si mandano in chat gli screenshot di un cane petomane visto su Netflix in una serie sui quasi quarantenni e le loro angosce, perché se si soffermano troppo a pensare che la loro pensione quelli prima di loro l’hanno pagata coi soldi del Monopoli, alla fine, gira che ti rigira, si ammazzano.

E, spoiler alert, finisce che ogni tanto qualcuno lo fa davvero.

Ecco perché parliamo così tanto di Zerocalcare. Perché il disagio noi ce l’abbiamo cucito addosso. E leggendo quei fumetti, ogni tanto riusciamo a guardarci quel patchwork di creatività, rabbia, frustrazione e speranza che ci portiamo in giro da una vita sul petto ogni giorno, e riusciamo a riderci su pure noi.

Che ridere della sfiga, signori, è l’unica cosa che abbiamo imparato a fare veramente, veramente bene.

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