Diari di viaggio

Sulle orme di Paolini: diario poetico di un viaggio a Venezia

Venezia ci metti un po’ a capirla. È una città strana, che sfida ogni giorno le leggi umane. Ben si presta a facili entusiasmi, ad innamoramenti fugaci. Non è malinconica come si dice, forse per l’incredibile quantità di turisti che l’affollano. Ma è fuori dal mondo, questo sì. Si erge in una dimensione atemporale, aspaziale. Naviga sulle sue stesse fondamenta, ed affonda nell’acqua le sue umanissime radici. Come faccia, è un mistero. Come i veneziani si siano trasformati volontariamente in anfibi, trasfigurando la propria dimensione di uomini, resta in sospeso, come i marciapiedi e le barche, sull’acqua verdognola e densa di sporco e catrame.

Venezia la vedi da lontano quando vieni da Mestre, e vedi le barche che scivolano leggerissime sulla laguna appena increspata sotto il sole. Una miriade di campanili che si sfidano in altezza, e un profilo appena accennato in distanza di una città che è sopravvissuta ai millenni. Arrivi e non ti sembra la stessa che hai visto dal bus. Il lungo corridoio di asfalto a penzoloni sul mare diventa all’improvviso ponte di passaggio alla bolgia infernale, al girone dantesco dei turisti. Pena del contrappasso: sopravvivere alla folla, orientandosi nella mischia di cose, persone, voci e vaporetti. Le gambe ti vengono in aiuto, e se sei abbastanza sano di mente ascolti loro anziché la tua testa curiosa, e le segui nei vicoli del sestiere più alto, procedendo da Piazzale Roma fino alle vie del Ghetto, in solitaria armonia con tutto il resto e con la città finalmente deserta. Gli spazi del ghetto sono strani. Alle piazzette desolate si contrappone l’asfissiante altezza dei palazzi, ravvicinati tra loro al punto che il solo affacciarsi alla finestra è in grado di far mancare il fiato. I panni stesi al sole restano a metà tra due finestre: un filo tiene, un filo tira. L’antica condivisione degli spazi, che ora è propria solo dei centri più piccoli, sopravvive come una sorta di paradosso nel microcosmo di palazzoni della Venezia abitata, quella che si nasconde agli occhi dei curiosi e alle foto dei turisti meno audaci. Le chiese si succedono, una dopo l’altra, con la grazia tipica del Gotico italiano. I palazzi sembrano svolazzare coi loro merletti di pietra, e le sottili trifore a sesto acuto sono un piacevole estetico refrain che si ripete in tutta la città.DSCN2617

A Venezia non esiste una periferia. Vedi case comuni solo dai piccoli squarci che si aprono dalle finestre del secondo piano del Palazzo Ducale; per il resto, ovunque si cammini, siano le Zattere di fronte alla Giudecca o la Sacca della Misericordia vicina a Fondamente Nuove, o gli alloggi degli studenti della Ca’ Foscari, niente fa pensare che esista una zona “popolare” accanto a una “borghese”. A Venezia tutto è nobile. Il Canal Grande è nobile. Ca’ d’Oro è nobile. A Venezia tutto è monumento, tutto è arte, tutto è storia. Il veneziano è fiero delle sue origini e della sua città, e forse per questo non ama la superficialità del turista, che dirotta sistematicamente, tramite cartelli strategici piazzati ben in alto sulle facciate dei palazzi, nelle uniche due zone che godono dell’attenzione della grande folla: Rialto e San Marco. Lo fa per avere spazio per sé, a dispetto del consumismo di massa che nutre e al contempo devasta la sua città. E lo fa soprattutto perché resti sempre un posto, a Venezia, in cui il turista non voglia e non sappia arrivare. Perché resti, nella sua città, dell’aria anche per chi a Venezia ci abita.

Non è vero che tutte le vie portano a San Marco. Se vuoi, hai mille modi per evitare la banale fiumana di gente che invade la Piazza centrale con spirito da marcia militare. Se vuoi conoscere Venezia abbastanza bene da avere qualcosa da raccontare al ritorno, puoi seguire gli itinerari delle chiese disseminate nei vari sestieri. Vedrai così Sant’Alvise e Santa Maria dei Miracoli, ma potrai anche vedere quanto Campo de’ Fiori somiglia a Campo San Bartolomeo, con la statua di Goldoni al posto di quella di Giordano Bruno. Gusterai lo strudel di mele più rigenerante della storia del turismo itinerante sulla Strada Nova dietro Ca’ d’Oro, e, se sarai abbastanza curioso, vedrai gli strani soffitti a cassettoni delle chiese di San Giacomo dall’Orio e di San Polo, e scoprirai che a Venezia le uniche librerie della città si concentrano tutte in zona universitaria. Venezia è un miracolo di fragilità. Galleggia sul nulla, sospesa nell’acqua che la inghiotte sei ore al giorno. La marea detta le leggi della fisica e dei tempi di chi l’ha scelta come compagna di vita. Fruttivendoli acquatici, divieti d’accesso nei canali “gondolabili”, ambulanze su vaporetti e meccanici – udite udite – non per auto ma per barche. E tutto questo la rende altera, Venezia. La rende difficile, impraticabile e unica.DSCN2782

Il turista medio, innamorato dei negozi di Rialto e troppo preso a scattare la giusta foto alla Biblioteca Marciana per accorgersi della scarsa illuminazione serale della Basilica, difficilmente noterà qualcosa che vada oltre la distanza tra la Piazza e il proprio albergo o il conto salato del ristorante prenotato per la cena. Sui suoi tacchi fini e scomodi la biondina in gondoeta non godrà di lunghe camminate su e giù per i ponti della città, e forse non vedrà nemmeno i mosaici della cattedrale di Torcello. Godrà della Venezia “bene”, questo sì. Girerà in motoscafo col suo uomo in camicia bianca e giacca scura diretta a un ricevimento in uno dei palazzi che danno sul Canal Grande. Ma non farà grasse risate con la commessa del negozio di chincaglierie di Murano o col proprietario della pizzeria dietro il ponte dell’Accademia. Non scatterà foto improbabili sui balconcini della galleria Franchetti (!) e non si scambierà messaggi serali con coinquiline fatiscenti di riccionesca provenienza. Non vedrà il museo navale e la facciata dell’Arsenale (meta obbligata per motivi teatrali…l’interno purtroppo è zona militare off-limits), né si accorgerà dei distributori di benzina per sole barche a motore, e non riderà dei giapponesi estasiati da gite in gondole romanticamente sballonzolate dalle onde alzate da mototopi e vaporetti della ACTV.

Con tutta probabilità non si chiederà neppure come faccia questa città a vivere così, da così tanto tempo e in modo così tanto naturale. Si limiterà a viverci e basta. Anch’io forse, romana, non so più comprendere da tempo qualcosa che vada oltre la terraferma, che permetta la sopravvivenza a un essere in natura così fragile come è l’uomo. Ma l’uomo è arrivato oltre, ha costruito ponti e palazzi in un agglomerato di isole su un mare praticamente immobile, e di questo ha fatto la sua fortuna nei secoli. Di questo ha fatto una bellezza incantevole che sopravvive nonostante noi, piccoli sciacalli dallo scatto fotografico veloce e dal portafogli a timer, pronti a tornarci alla prossima ondata di bel tempo.

(Da un viaggio del maggio 2008)

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3 pensieri su “Sulle orme di Paolini: diario poetico di un viaggio a Venezia”

  1. a venezia tutto è nobile per chi non ha mai sentito che cosa esce dalla bocca di tassisti e gondolieri! ;-) (c’è una pagina su “occhi sulla graticola” di Tiziano Scarpa che devi leggerla per sapere bene, i suoi libri tutti, però sono un bel tuffo in veneziavenezia).

      1. ahiahi, attenzione però, mai accumunare Venezia a ciò che sta in terraferma, ti tiri addosso le ire pesanti dei Veneziani. Per afferrare bene il concetto tu non dimenticare mai che se non ci fosse il ponte l’Europa sarebbe un’isola. ;-)

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